02 Mag

supporto del gruppo DR nei tempi della pandemia

Quest’anno il Banyuaiki Dojo ha compiuto 15 anni e il lavoro di Dinamica Relazionale (DR) ne ha compiuti ben 10. Sebbene non sia stato ancora realizzato uno studio strutturato sugli effetti della Dinamica Relazionale, i risultati tangibili riscontrati e riferiti dai partecipanti consentono di affermare che la DR non solo sostiene il praticante nel suo percorso aikidoistico, ma, cosa forse più significativa, favorisce lo sviluppo di una maggiore consapevolezza di sé e dell’altro nella vita.Come abbiamo spiegato in diversi articoli e post, l’elemento fondamentale che unisce la DR e l’aikido è la trasformazione, la metabolizzazione, se vogliamo, del conflitto, inteso non solo nella dinamica attacco/difesa propria del confronto marziale, ma anche di tutto ciò che in noi, nella nostra esperienza pratica di vita reale, provoca attrito. La DR è infatti uno spazio riservato alla conoscenza di sé e delle relazioni con gli altri, uno strumento per aumentare la consapevolezza individuale e relazionale. Il confronto di gruppo non è certo prerogativa esclusiva delle psicoterapie, anche se qualcuno potrebbe pensare subito alla DR come ad una pratica psicoterapeutica di matrice sistemico-relazionale. La DR è un appuntamento di confronto fra praticanti di aikido e, nell’esperienza di chi vi partecipa da lungo tempo, promuove crescita personale e relazionale che si traducono in miglioramenti significativi della pratica dell’aikido, in particolar modo declinato nella forma del Tada-juku, l’insegnamento del Maestro Tada. Questo lavoro è stato pensato per svolgersi naturalmente “dal vivo” e dal vivo la DR si è effettivamente svolta per un decennio; la quarantena ci ha tuttavia costretti a ridefinire le modalità di incontro e, pur nella consapevolezza che il confronto possibile attraverso una piattaforma digitale è un surrogato del confronto in presenza, abbiamo salvaguardato l’opportunità di mantenere attivo il percorso di crescita soprattutto mentre siamo sottoposti ai disagi causati dalla pandemia covid-19. Abbiamo quindi superato ogni esitazione e la “teleDR”, in quarantena e a distanza, si è rivelata tanto efficace e importante da far svanire ogni perplessità e diventare, in modo spontaneo, un appuntamento settimanale invece che mensile, un momento ancor più decisivo di centratura, di riflessione, di lavoro, dedicato a custodire, per quanto possibile, il benessere interiore minacciato dalle circostanze contingenti. Dopo un mese e mezzo di teleDR, in questa giornata del primo maggio, il gruppo ha maturato una decisione forte, diremmo ambiziosa, quella di aprire le porte della DR ad altri, mettendo a disposizione, gratuitamente per questo mese – che sarà ancora fortemente condizionato dalla pandemia e dai suoi disagi – un incontro settimanale aperto a chiunque senta la necessità di portare le proprie difficoltà e il proprio vissuto a confronto con il gruppo, indipendentemente dalla pratica di aikido maturata. Chi lo desidera, quindi, chi immagina di poter trarre beneficio dal supporto di un gruppo che da anni lavora per trasformare il conflitto, la sofferenza e il disagio interiore e portare non solo sul tatami ma nella propria vita una crescente consapevolezza, può contare su di noi, partecipando, per questo mese di maggio, a sessioni settimanali gratuite di teleDR, pensate specificamente per l’emergenza che stiamo attraversando. Per contattarci e avere informazioni di dettaglio sulla pratica e sulle modalità di partecipazione è sufficiente mandare una email a Marco La Pera, marco@banyuaiki.it; sarete prontamente ricontattati.

27 Mar

il silenzio che cura

Chi ama l’aikido in questo periodo parla e agisce con grande cautela. Non utilizza frasi e aforismi di grandi maestri per dare una qualche parvenza di dignità a un disagio assolutamente personale che forse andrebbe visto, elaborato e risolto con un buon psicoterapeuta. Chi ama l’aikido in questi giorni di paure e mostri invisibili degni delle migliori fiabe per bambini si comporta da uomo: rimane in contatto con l’inevitabile disagio dato dal dover stare fermi, senza scaricare questo disagio su altri: persone intorno a lui in carne ed ossa o sul digitale. Chi ama l’aikido oggi soffre ma non lascia che questa sofferenza produca pensieri parole e azioni disturbate e disturbanti.
Chi veramente ama l’aikido è, in questo periodo, un punto di riferimento. Che abbia o meno un Ruolo Importante (come direbbe con le iniziali maiuscole il grande filosofo Winnie the Pooh) non importa.
Sa che c’è chi in questo momento è disperato. Disperato veramente non come nei film che poi tutto va bene.
Chi ama l’aikido oggi se parla crea silenzio e se rimane silenzioso lo fa in modo compassionevole. Il suo silenzio lo sente anche la galassia più lontana ora. Lo sente ogni bambino che ora non ha nessuno che possa accogliere il proprio pianto perché i grandi ora hanno Troppo Da Fare e devono-assolutamente-sentire-il-telegiornale.
Il silenzio del vero ricercatore dell’aiki ora è un oasi nel deserto. Che questo silenzio avvolga le sofferenza e lenisca i dolori più strazianti ovunque.

19 Mar

donazione a favore della Protezione Civile

Il Banyuaiki Dojo esprime profonda gratitudine nei confronti degli operatori del sistema sanitario, di quegli eroi tra medici, infermieri, ricercatori, e tutti coloro che sono impegnati ed esposti in prima linea per combattere questa pandemia. Sono la fiammella nel buio…stanno dando tutto, anche agli ottusi che, con parole e azioni scellerate, negando l’indubitabile emergenza, mettono a repentaglio la propria salute e quella di chi gli sta intorno.

Per dare un aiuto concreto, l’Associazione Culturale Aikido Banyuaiki Dojo Roma ha contribuito alla raccolta fondi della Protezione Civile.

È possibile donare tramite bonifico sia dall’Italia sia dall’estero attraverso le seguenti coordinate bancarie:

Banca Intesa Sanpaolo Spa
Filiale di Via del Corso, 226 – Roma
Intestato a Pres. Cons. Min. Dip. Prot. Civ.
IBAN: IT84Z0306905020100000066387
BIC: BCITITMM

Le donazioni ricevute saranno utilizzate per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale, attrezzature medicali, ventilatori polmonari e ogni altro tipo di strumentazione al momento necessaria.

Uno dei princìpi cardine dell’aikido è l’unione delle forze. Che ognuno di noi possa modellare il proprio comportamento sull’esempio di abnegazione e dedizione dato da chi combatte contro il covid-19, per realizzare quell’unione di intenti che potrà portarci fuori da questa emergenza il più presto possibile.

10 Mar

lezioni sospese per emergenza coronavirus

A seguito dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm 4 marzo 2020; Dpcm 8 marzo 2020; Dpcm 9 marzo 2020), tutte le attività nel dojo dell’Associazione Culturale Aikido Banyuaiki Dojo Roma sono sospese quale misura di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

La sospensione sarà, in via precauzionale, fino al 3 aprile 2020 e comunque fino a nuovo avviso.

Gli insegnanti stanno definendo attività “in remoto” da proporre agli iscritti.

27 Feb

Passato, presente, futuro

Chi ha vissuto e praticato aikido in Giappone per un periodo di tempo significativo sa quanto sia stato importante e quanto lo abbia aiutato l’aver fatto esperienza dell’humus culturale dal quale l’aikido è nato per meglio comprendere alcuni aspetti della pratica.
Al giorno d’oggi è relativamente facile recarsi in Giappone – tempo e risorse permettendo naturalmente. Ma se torniamo per un attimo all’alba della sua diffusione in tutto il mondo non possiamo non provare un sentimento di gratitudine nei confronti dei pionieri non giapponesi di questa disciplina. Possiamo solo vagamente immaginare dai loro racconti l’enorme sforzo che devono aver compiuto. A loro il merito di aver per primi operato la prima, iniziale sgrossatura, la prima digestione e metabolizzazione di un qualcosa che, per quanto riguarda l’Italia dei primi anni sessanta, doveva essere non troppo dissimile a fantascienza applicata.
Mi raccontava uno di questi proto-aikidoisti di Roma, che per quanto si sforzasse di spiegare al padre che il Maestro Tada non era cinese ma giapponese, non c’era proprio verso, per il papà lui andava “dar cinese”! D’altra parte non dimentichiamo che il primo non giapponese ad essere allievo di O-Sensei fu l’italiano Salvatore Mergè, personaggio nel quale si fuse la pratica dell’aiki con un certo tipo di esoterismo di matrice occidentale.
Quanto tempo e quante cose sono successe da quei primi tentativi, quanto furore, quanta passione, e in alcuni casi quanto eroismo!
Intorno al Maestro Tada, e sotto le ali di un volo di pura magia, sono cresciute ormai più di una “generazione” di praticanti.
Lungo questa grande strada si faranno altri tentativi, si commetteranno inevitabilmente errori, che chi viene dopo potrà, se vorrà, utilizzare per la propria ricerca personale. Auguro a tutti noi praticanti di questa Via di attingere dal passato l’ispirazione, per vivere un presente pieno di intensità ed ampiezza, custodendo nel cuore l’aspirazione a conseguire ciò che di più alto cerchiamo. Se la ricerca sarà sincera, la tradizione sarà sempre viva perché sempre nuova. Buona pratica!

25 Feb

Trasformare il conflitto

Ci alleniamo quotidianamente anno dopo anno sul tatami e approfondiamo quei principi base che sono le radici del fare aiki. Acquisiamo con sempre maggiore profondità una padronanza del movimento e di quella attitudine mentale che ci permetterà di poter decidere liberamente la risoluzione del conflitto, simboleggiato dalle polarità tori/uke, attacco/difesa.

Nel dojo il lavoro è inevitabilmente relazionale e il conflitto, inteso come attacco da gestire, risolvere e superare, è insito nella natura stessa dell’allenamento. Sebbene il fine dell’allenamento non si limiti allo sviluppo di tecniche marziali, e un sistema di meditazione completo quale il Tada Juku ci permette di lavorare da subito su corpo, mente ed energia contemporaneamente, indubbiamente si parte dal corpo, si lavora sul corpo ed il nostro corpo sarà la pietra grezza da sgrossare lungo tutto il nostro percorso aikidoistico.

Ma quando vogliamo agire la trasposizione delle conoscenza acquisita nell’aikido, al livello della dinamica interpersonale ovvero in tutte quelle sfumature di rapporto che vanno dal sereno comunicare alla più violenta e prevaricante aggressione verbale, quegli stessi strumenti, quella conoscenza esperienziale che abbiamo con fatica fatto nostra sul tatami rimane spesso assopita, indisponibile, quasi introvabile, come se ci fosse il bisogno di un certo tipo di attivazione e di traduzione (nel senso etimologico di trans ducere) perché essa divenga utile, fruibile ed efficace anche ad un livello che è essenzialmente mentale ed emotivo.

Non è difficile, una volta acquisita una certa esperienza di pratica, intuire quali sono i blocchi, le tensioni, gli squilibri sui quali dobbiamo lavorare per perfezionarci nel fare aiki con il corpo. Con continuità e costanza, il processo di miglioramento tecnico è solitamente naturale: l’avanzamento è graduale ma è visibile e tangibile.

Miglioriamo dunque la tecnica progressivamente, e gli esami di passaggio di grado dovrebbero esserne la testimonianza. Ma a livello mentale/emotivo, nella gestione del conflitto nella vita di tutti i giorni fuori dal tatami, è così automatico e scontato un conseguente e parallelo miglioramento? La risposta è, semplicemente, no. Possiamo aver raggiunto il 6° dan di aikido, ma nella relazione con l’altro o anche nella gestione interna dell’inevitabile attrito che nasce dal gioco delle polarità di cui è composto l’esistente, è possibile essere rimasti un 6° kyu.

Vedere i blocchi, le tensioni non necessarie, e tutto ciò che limita la nostra capacità di esprimere noi stessi e di rimanere centrati e neutrali nel confronto con l’altro – ma anche con noi stessi – è uno degli scopi fondamentali della Dinamica Relazionale. Si tratta di un lavoro di gruppo che da un punto di vista metodologico ha molte assonanze con alcune moderne tecniche di psicoterapia di matrice sistemico-relazionale, specificamente pensato per funzionare in sinergia con la tradizionale pratica dell’aikido. È importante sottolineare che non si rivolge a persone con disturbi mentali: non è una psicoterapia di gruppo. È anche importante evidenziare il fatto che questo corso è assolutamente facoltativo: si può benissimo frequentare solamente il corso di aikido. E naturalmente non è un’alternativa al corso di aikido ma un lavoro che mira a completare la ricerca di sé includendo il piano psichico.

Il comune denominatore tra la lezione di aikido e la Dinamica Relazionale si chiama “trasformare il conflitto”. Il fine più elevato di entrambi questi ambiti è la ricerca personale, quel percorso interiore che mira ad aumentare la consapevolezza di sé e conseguire uno stato di maggiore benessere. L’antico “conoscere se stessi” è dunque la stella polare che orienta il lavoro sinergico di aikido e dinamica relazionale proposti dalla nostra Associazione.

17 Feb

Praticare da soli con il neribo 合気道の一人稽古で使用する練り棒

合気道多田宿の練り棒 Il neribo usato dagli allievi del Maestro Tada Hiroshi al Gessoji Dojo (Tokyo)

Il neribo è un valido ausilio alla pratica da soli, in giapponese 一人稽古 hitorigeiko. Il Maestro Tada, che ha dato il nome a questo “strumento”, ci spiega che ogni tecnica di aikido va praticata almeno 10,000 volte per una conoscenza base, e almeno 100,000 per divenirne esperti. E quindi giustamente osserva: si può anche praticare 100,000 volte ikkyo con un amico, ma deve essere invero un buon amico!! Decisamente più fruibile il nostro neribo: sempre disponibile e mai stanco!

Il neribo che suggeriamo di usare, è quello con caratteristiche simili al modello ideato dal M° Tada per i suoi allievi dei dojo collegati al Tadajuku. Naturalmente si possono creare neribo di diverse dimensioni, a seconda delle proprie preferenze e necessità . Il Maestro di fatto utilizza diverse “versioni”, tra cui una più piccola “da viaggio” che ha mostrato diverse volte nei seminari in Italia.

Il Maestro Tada illustra come usare il neribo in una lezione all’Hombu Dojo.

In questa tabella riassumiamo peso e dimensione del neribo “standard”.

lunghezza40,5 cm
diametro5,8 cm
peso968 gr
tipo legnoquercia bianca giapponese (Quercus myrsinifolia, in giapponese 白樫 Shirakashi) o quercia rossa giapponese (Quercus acuta, in giapponese 赤樫 Akagashi) *

* Sulla questione “quale tipo di legno scegliere” si potrebbe scrivere un libro. E’ un tema di cui parleremo in modo più approfondito in un articolo che uscirà prossimamente riguardo bokken, jo e tanto.

Nella foto, la smussatura del neribo.
Col tempo e con la pratica la superficie del neribo diventa sempre più liscia e più piacevole al tatto.
27 Gen

meccanica quantistica, aikido e Magna Grecia: riflessioni aspettando una nama biru

Un carissimo amico (non a caso natìo della Magna Grecia), mi ha chiesto una mia traduzione dei versi del Fondatore che ultimamente il Maestro Tada cita durante i raduni:

誠をば

さらに誠に

練りあげて

顕幽一如の

真諦を知れ

Traduzione di Paolo Calvetti:

Sulla Verità

Con altra Verità

Lavora

E conosci la Verità assoluta

Dell’unità della materia e dello spirito

Non avendo di meglio da fare in questo freddo lunedì di gennaio, accetto l’incarico in parte in cambio di una nama biru. Perchè in parte? Perchè trovo la traduzione di Paolo Calvetti assolutamente corretta e, direi anche molto banalmente, bella. Questa richiesta però mi ha portato a voler condividere non tanto uno studio tecnico-linguistico o una traduzione alternativa, ma piuttosto una riflessione più ampia stimolata proprio da una analisi inizialmente linguistica.

Forse può essere utile ricordare una traslitterazione dei versi:

Makoto oba

Sara ni makoto ni

Neriagete

Kenyū ichinyo no

Shintai o shire

Cominciamo con “Makoto oba”. Makoto si traduce naturalmente con “verità”. L’uso di “-oba” è molto particolare. È una forma ormai desueta, che appartiene ormai solo ai testi antichi del Giappone, e funge semplicemente da rafforzativo. Da enfasi alla parola che precede.

“Sara ni” e “makoto ni” si possono intendere in vari modi. Qui la scienza del linguista deve necessariamente lasciare spazio all’arte del traduttore.

Sara ni vuol dire “oltretutto”, “ancora”, “ulteriormente”, etc.; makoto ni si può tradurre con “veramente”, “sinceramente”, gli inglesi direbbero “truly” per intenderci.

A prescindere dal modo in cui decidiamo di tradurre questi primi due versi, indubitabilmente non possiamo non accorgerci di una forte, marcata sottolineatura del concetto di “verità”, del “vero”.

Davvero un grande peccato non potermi confrontare con il buon Salvatore Mergè sull’argomento, ma azzardo l’ipotesi che anche lui, leggendo questi versi, fu piacevolmente colpito da alcune assonanze con la Tavola di Smeraldo attribuita ad Ermete Trismegisto:

“Verum, sine mendacio certum et verissimum, quod est inferius, est sicut quod est superius, et quod est superius, est sicut quod est inferius: ad perpetranda miracula rei unius. […]”

“È vero senza menzogna, certo e verissimo” ricorda molto appunto l’attacco: “Makoto oba / Sara ni makoto ni”.

E ancora, il gioco dell’apparente dualità “superius/inferius” della tabula smaragdina rimanda alla parola giapponese 顕幽 dei versi di O’Sensei, composta dai due kanji ken=chiaro, evidente, manifesto e yū=appartato, oscuro.

Abbiamo poi quel “neriagete” (forgia e forgiati, lavora incessantemente, affina e raffina con forza e dedizione) del Fondatore che sembra un comando, una ammonizione. Neriageru è una espressione che riprende spessissimo il Maestro Tada a lezione sia al Gessoji dojo che in Italia, e che si può dire essere l’essenza se vogliamo del Kinorenma.Non a caso un’altra forma del kanji del verbo neru るè る, scelta dal Maestro per dare un nome alla parte più importante e centrale del suo insegnamento: il Kinorenma (気の磨). Questa stessa idea, anzi esortazione, al lavoro inteso anche come sforzo pratico e continuo (mi viene l’immagine del fabbro, dell’incudine, maglio e fucina) la troviamo nella tabula:

“Separabis terram ab igne, subtile a spisso, suaviter cum magno ingenio.”

Lavorare su cosa? Sulla Verità. In che modo? In modo vero, autentico come forse direbbe Heidegger.

“ […]ad perpetranda miracula rei unius”, per fare i miracoli di una sola cosa… confronta con “E conosci la Verità assoluta/Dell’unità della materia e dello spirito”.

Forse dicono la stessa cosa, o forse indicano la stessa direzione, sta di fatto che ho l’impressione che se avessimo potuto far leggere questi versi di O’Sensei a Newton o a Paracelso, così per dirne due a caso, io credo che avrebbero fatto fatica a credere che provenissero da una terra così tanto più lontana dell’antico Egitto.

Non è certamente questo l’ambito adatto per considerazioni filologiche sulla provenienza della tabula, né tanto meno lo è per una discussione su linee di convergenza tra l’ermetismo filosofico e l’aikido.

Di fatto questi ma anche molti altri versi di O’Sensei parlano e alludono ai grandi problemi filosofici che da sempre coinvolgono l’uomo. Andando un pochino più a fondo nell’insegnamento del Fondatore ci si trova necessariamente coinvolti in una riflessione interiore, quasi sempre ontologica ed epistemologica, che solo apparentemente sembra lontana dal metodo e dallo scopo dei grandi problemi alla base della tradizione filosofica occidentale. Dai presocratici a Heidegger fino ai contemporanei, possiamo trovare importanti spunti di riflessione tra l’aiki e la nostra tradizione filosofica, per non parlare poi di tradizioni non propriamente filosofiche in purezza quali appunto l’ermetismo. Ma noi siamo praticanti di aikido non studiosi accademici (d’altra parte la filosofia si fa!), e allora planiamo nuovamente sul tatami e sentiamo quello che ha da dirci il Maestro Tada a riguardo. O meglio, chiediamoci: perché questi versi, ora?

Di recente il Maestro Tada ci parla spesso di meccanica quantistica. Semplificando al massimo, e sicuro nel profondo sdegno da parte di fisici e ingegneri, si può riassumere in parte il senso del suo discorso all’interno della narrativa più ampia che è suo insegnamento, in questo modo: se provi ad osservare le particelle elementari, nel momento stesso che lo fai esse muteranno, si trasformeranno, essenzialmente saranno diverse. Per osservare, devi illuminare ma la luce che userai cambierà ciò che stai ricercando. Il metodo stesso ha conseguenze sull’oggetto dell’indagine in un esperimento. Naturalmente non si tratta di mera epistemologia. Sul tatami, se il tuo compagno di pratica avverte a livello inconscio la tua intenzione di eseguire una tecnica, questo avrà delle conseguenze, che saranno riscontrabili in una conseguente alterazione, o forse dovremmo parlare più precisamente di attivazione, anche – ma verosimilmente non solo – a livello inconscio. Le conseguenze di questo tema sono, invero, di portata estremamente profonda e significativa a tutti i livelli.

Se volessimo giocare ancora con il suggestivo e seducente trastullo che è l’andare a cercar punti di unione tra la filosofia nostrana e il pensiero orientale declinato in chiave aikidoistica, è come se, usando i versi e parlandoci di fisica quantistica, Tada sensei ci aiutasse in fondo a depotenziare e disinnescare l’antica, violentissima faida tra empiristi e razionalisti. Certamente non come farebbe Kant, per citarne solo uno: qui si tratta di un modo di vivere il superamento delle polarità, e quello che, nel mio piccolo, ho colto per un attimo fugace, anzi più precisamente fulmineo, è che non si può sperare di uscire indenni dal mondo delle polarità se lo si affronta in uno stato interiore di dualità. Ma questo è un discorso che ci porterebbe ad essere molto terra-terra, e io già sento i professoroni delle università sbuffare, e così concludo i miei dieci centesimi di contributo su questo tema aspettando la nama biru promessa dell’amico, che molto magna e poco Grecia!